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Neverland. Peter Pan & Wendy – Connie Furnari.

Ciao a tutti cari amici lettori, oggi per voi una nuova anteprima…


TITOLO: Neverland. Peter Pan & Wendy Connie Furnari, Neverland (cover)

AUTORE: Connie Furnari.

GENERE: Paranormal Romance

CLIFFANGHER: NO. Romanzo autoconclusivo in volume unico.

TRAMA:  “Era cosa nota che i Darling avessero sempre abitato nel quartiere di Bloomsbury, al numero quattordici.” Wendy ha sempre sentito strane storie, sulle donne della sua famiglia, soprattutto sulla sua famosa trisavola, la prima Wendy Moira Angela Darling. Si racconta, da intere generazioni, che un ragazzino misterioso entri di notte, e rapisca le bambine nei loro letti.  La notte prima del suo diploma, alla finestra di Wendy appare un bellissimo ragazzo, dagli occhi verdi e dai capelli color castano ramato. Lei ricorda di averlo già incontrato molti anni prima, quando era piccola. Ma è diverso dal Peter con il quale aveva volato nei cieli di Londra. Peter Pan è cresciuto. Apparentemente ha la sua stessa età, non è più un ragazzino allegro ma un giovane uomo tormentato. I ricordi di Wendy riaffiorano. Ricorda di avergli dato il suo Bacio Vero, il bacio che lei aveva sempre custodito per il suo unico amore, e che ha fatto scegliere a Peter di crescere. Wendy lo segue volando, ritrovandosi in un’altra dimensione, in una Londra cupa e senza leggi, che somiglia a quella vittoriana. L’Isola che non c’è è diventato un luogo da incubo e denso di pericoli, dove niente è come sembra, dove nessuno si fida più dell’altro. La colpa è di Peter. È cambiato, la sua anima, una volta spensierata e innocente, sta diventando sempre più oscura, e Wendy teme che anche il suo amore per lei possa morire.  Accolta dai nuovi Ragazzi Sperduti, che la eleggono loro capo e le insegnano a combattere, Wendy si troverà a un bivio dopo aver conosciuto un giovane e affascinante Capitan Uncino, deciso a conquistarla.  Campanellino e Giglio Tigrato sono misteriosamente sparite nel nulla, e l’Ombra di Peter incombe minacciosa su tutto, decisa a sterminare le fate, le sirene, i pirati, i pellerossa. L’Isola che non c’è racchiude dei segreti mai svelati e l’unica in grado di salvare Peter che si è perduto nelle tenebre è Wendy, credendo in lui ma soprattutto in se stessa.

“Neverland” è un retelling di Peter Pan, con un finale alternativo e un’intensa storia d’amore, fra due adolescenti appassionati. Un Paranormal Romance pieno di avventura e intensi momenti di romanticismo, liberamente ispirato al romanzo di James Matthew Barrie. Un Amore Immortale, in un mondo fantastico, oltre i confini del tempo. Alla fine del volume, in regalo per i lettori il bonus “Curiosità su Neverland”, il backstage sulla realizzazione del romanzo.

Link d’acquisto: http://amzn.eu/gcCp0ns    Contatto autrice  conniefurnari@hotmail.it

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ED ORA PER VOI IN ANTEPRIMA UNO STRALCIO…

«Durante questi cinque anni, mi hai sempre sorvegliata come un angelo custode, di nascosto» mormorai. «Perché? Perché non ti sei mai fatto vedere da me?»

«Volevo prima diventare l’uomo che meriti, e non lo sono ancora. Forse, non lo sarò mai, Wendy.»

I suoi occhi verdi brillarono nella penombra, alla luce della lampada da notte. E mi spaventarono. Quello non era più il mio Peter, qualcosa di inquietante si era impossessato di lui, e se non avessi fatto qualcosa lo avrei perduto.

«Peter…» non ne avrei mai avuto abbastanza di pronunciare il suo nome.

Gli feci una carezza sulla guancia e lui stavolta non si ritrasse, ma socchiuse gli occhi. «Voglio darti un bacio» sussurrai.

Se fosse stato il piccolo Peter che conoscevo, avrebbe allungato la mano e mostrato il palmo, per ricevere un ditale, ma lui non lo fece.

Da questo compresi che era davvero cresciuto e mi si spezzò il cuore.

Mi avvicinai e posai la mia bocca sulla sua. Fu meraviglioso baciare Peter, il mio Peter, che avevo atteso per così tanto tempo.

I nostri baci sarebbero sempre stati così, Baci Veri, mai più ditali. «Io ti amo, Peter Pan» gli sussurrai piano. Era quello che avevo sempre saputo, quello che avevo aspettato di dirgli da troppo tempo forse.

L’AUTRICE.   Connie Furnari è nata a Catania. Laureata in lettere, appassionata di cinema, pittura e film d’animazione, ha pubblicato con varie case editrici, in self publishing e ha vinto diversi premi letterari. È una scrittrice multi-genere, predilige scrivere il fantasy e il paranormal, ma si dedica anche al romance, al thriller, alla narrativa per bambini e ragazzi, e ad altri generi letterari. Tutte le sue opere sono facilmente reperibili on line, sia in digitale che in cartaceo. Vive tra centinaia di libri e dvd, ed è presente nei social network. Ama leggere, disegnare manga, e dipingere quadri.

Il suo blog è www.conniefurnari.blogspot.it     La sua email è conniefurnari@hotmail.it

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I suoi romanzi sono disponibili in edizione digitale e cartacea, su tutte le piattaforme, tra cui:

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NEVERLAND.  Peter Pan & Wendy

Tutti i bambini crescono, tranne uno. James Matthew Barrie, Peter Pan 

Capitolo 1 – Il ragazzo che non voleva crescere

La finestra era chiusa, in casa c’era soltanto un silenzio assoluto e irreale, lo stesso che regnava ogni notte. Al di là dei vetri, oltre le tende di pizzo, si intravedeva la luna piena, gigantesca e pallida, in un cielo scuro. Il suono di un flauto di canne si propagò nell’aria e fu quello l’unico rumore che mi fece svegliare, mentre dormivo nel mio letto. All’inizio, pensai fosse solo la mia immaginazione, ma avevo sentito così tante volte quella dolce musica, durante la notte, che mi destai di colpo. Di solito, udivo il suono del flauto nel dormiveglia, un attimo prima di addormentarmi, ma mai da sveglia. Aprii gli occhi ma la musica non cessò, questa volta. Il sussurro del vento, il mormorio dell’acqua. Curiosa, mi levai a sedere sui cuscini del letto. In soli sei anni di vita, avevo udito così svariate volte il suono melodioso di quel flauto da non averne più paura. Mi alzai, diretta alla finestra chiusa. Non appena aprii le ante, scansando le tende di pizzo, intuii cosa sarebbe successo. Qualcuno mi aveva raccontato che alle donne della mia famiglia era sempre stato riservato un destino particolare, che eravamo delle prescelte, fra tutte le ragazze a cui lui faceva visita. A causa del nostro nome. Indietreggiai, quando l’Ombra entrò nella camera. Si muoveva tenendo le braccia in avanti, volando sui muri. L’ombra di un ragazzo. Sembrava vivere di vita propria, continuava a percorrere le pareti della mia stanza senza fermarsi, come se stesse fuggendo da qualcosa. Dopo l’Ombra, giunse un tintinnio di campanelli, assieme alla luce di una lucciola dorata. All’istante compresi che il tintinnio proveniva proprio da quella luce d’oro, che saltellava sui mobili. Una fata. Il corpicino minuscolo era aggraziato, sembrava nuda, e solo quando rallentava il suo volo, riuscivo a vedere che indossava un vestito di resina verde sfumata di giallo, uguale a quella che cresce sugli alberi. Le sue ali, trasparenti e iridescenti, non stavano un attimo ferme, come quelle di una libellula. Infine, in contrasto con la gigantesca luna piena, lo vidi. Era il ragazzo che veniva a guardarmi dalla finestra quasi ogni notte, fin da quando ne avevo memoria, e che ogni donna della mia famiglia conosceva, grazie ai racconti tramandati di generazione in generazione. Ed era proprio come lo avevo sempre immaginato. Se ne stava ritto in piedi, con i piedi sul davanzale della finestra aperta, i pugni sui fianchi. Anche lui sembrava indossare gli stessi abiti della fata: i suoi pantaloni e la sua maglietta a maniche corte erano fatti di resina e di foglie. Solo quando scese con un salto dal davanzale, e atterrò sul pavimento volteggiando, potei osservarlo alla luce della lampada che mia madre lasciava accesa ogni notte, nella mia camera. Aveva i capelli color castano ramato, gli occhi verdi. La pelle abbronzata dal sole. Il suo fisico era scattante e atletico, già alto per l’età apparente che mostrava, forse tredici anni. Ma Peter non aveva un’età. Era l’unico ragazzo al mondo che non era mai cresciuto. Mi chiesi come avesse fatto a raggiungere il terzo piano della casa da quell’altezza, poi ricordai che sapeva volare. Ci guardammo, sembrò timido all’inizio: come se mi conoscesse, ma non osasse parlarmi.                                                                                                                                 «Ciao. Tu le somigli tanto ma non sei lei» pronunciò deciso, con la sua voce argentina. Prendendo coraggio, mi avvicinai, percorrendo il pavimento freddo con i miei piedi scalzi. «Ciao. No, non sono la Wendy che conoscevi.»                                                                «Però la casa è la stessa.» La sua confusione era evidente e a quel punto, decisi fosse il momento di spiegare.                                                                                                                        «È passato molto tempo, dall’ultima volta in cui hai visto la prima Wendy» mormorai. Non potevo dirgli che la mia trisavola era morta tanti anni prima, così come molte altre donne della famiglia Darling. Sapevo che Peter dimenticava. Che gli anni, per quel ragazzo, non avevano alcun valore; potevano sembrargli giorni, invece per noi erano decenni. Notai che stava cercando altri letti, in quella stessa camera. «No, non ci sono neppure John e Michael.»                                                                                                                      A quel punto, accadde qualcosa che non mi aspettavo. Fece il broncio e per poco non cominciò a singhiozzare: era davvero un ragazzino egocentrico, proprio come mi avevano raccontato.                                                                                                                         «Non piangere» avanzai di un altro passo, decisa a consolarlo, «se vuoi, possiamo essere amici.»                                                                                                                                                      Alzò i suoi occhi, che erano di un bellissimo verde smeraldo, lo stesso colore dei boschi. «Come ti chiami?»                                                                                                                         Mostrando un inchino a dir poco teatrale, mi presi la lunga camicia da notte con le mani, e mi presentai. «Wendy Moira Angela Darling. È un nome che si tramanda spesso, fra le donne della mia famiglia. E il tuo nome, qual è?»                                                                       Glielo avevo chiesto per educazione, ma conoscevo già la risposta. «Peter.»                      «Lo so.» Gli sorrisi. In effetti, era un nome piuttosto corto rispetto al mio e sperai che non ne rimanesse offeso, come quella notte di molti decenni prima, quando era entrato in quella stessa camera e aveva conosciuto la prima Wendy.                                                     «Allora, vieni?» Peter mi porse la mano, invitandomi a raggiungerlo, e non esitai neppure un attimo. Era davvero impulsivo, come mi avevano raccontato.                            «Dove andremo?» domandai, euforica.                                                                                         «Nei Giardini di Kensington. È quasi l’ora delle fate. La loro festa sta per iniziare. Non ti piacerebbe partecipare?»                                                                                                                      «Oh, Peter…» La mia risposta fu un sospiro sognante. Nello stesso attimo, il tintinnio aumentò e la fata color oro luminoso che volava per la camera sembrò arrabbiarsi. «Campanellino fa sempre così, ogni volta che invito una ragazza a seguirmi. Non capisco perché» si giustificò Peter. «È molto maleducata con le signore.»                                              Io conoscevo benissimo il motivo della gelosia di quella fata, ma non glielo confidai, perché anche se avevo soltanto sei anni, ero già una bambina piuttosto sveglia. Ci avvicinammo alla finestra, in lontananza il Big Ben si stagliava sopra i tetti della città, oltre il quartiere di Bloomsbury. I rintocchi si fecero udire, nella notte. Sarebbero stati dodici, ma non ebbi il tempo di contarli tutti. La luce dorata girò sopra il mio capo, formando una spirale luminosa, ricoprendomi della polvere fatata che Campanellino aveva lasciato in giro per tutta la stanza. Peter mi prese per mano e venni invasa da un profumo che ricordavo di aver già sentito parecchie volte, sempre di notte, mentre dormivo: l’odore dei mari, dei boschi, dei cieli.                                                                             Lo seguii, librandomi nell’aria.                                                                                                        Senza alcun dubbio.                                                                                                                       Avevo sempre creduto di riuscire a volare.

***

Il sogno che feci quella notte, fu davvero strano e intenso. Sognai di volare su Londra, di solcare i cieli della città che conoscevo ancora poco, vista la mia giovane età. Avevo scorto i camini fumanti, le tegole dei tetti, sotto di me.    Nessuno era per le strade, a quell’ora della notte. Non avevo mai lasciato la mano di Peter, anche se ero in grado di volare da sola. Il calore della pelle di quel ragazzo era una certezza che mi cullava. Insieme, avevamo attraversato il cielo stellato, e ricordavo di aver visto così da vicino il Big Ben da rimanere abbagliata dalla luminosità del suo quadrante.   Quell’orologio, che da lontano mi sembrava sempre così piccolo, ogni volta che con mia madre uscivo per le strade, mi era parso enorme, forse più grande di quella stessa luna piena che ci vegliava. Avevo visto il Tamigi, simile a un serpente sinuoso e immobile, silenzioso e buio, nella notte. Le luci del ponte di Tower Bridge Road si riflettevano sull’acqua come minuscole scintille.  Infine, Peter aveva planato sui Giardini di Kensington, oltrepassando i cancelli chiusi. Sapevo bene che dopo l’Ora di Chiusura accadevano cose fantastiche, ai Giardini. Peter mi aveva fatta rimanere in volo, sopra gli alberi, dicendo che le fate di solito non approvano essere viste dagli esseri umani mentre danzano. Eravamo rimasti a levitare a qualche decina di metri sopra l’isola degli uccelli, quella al centro del lago Serpentine, dove di solito hanno luogo le feste delle fate, durante le ore notturne. In passato, avevo saputo di quei bambini coraggiosi rimasti ai Giardini di Kensington dopo l’Ora di Chiusura, proprio per vedere le fate.  Di quei bambini non se ne era più saputo nulla, ma tutti sapevano cosa accadeva ai piccoli che cadevano dalla carrozzina, che si perdevano di notte nei Giardini, o che fuggivano di casa: venivano presi dalle fate e consegnati a Peter.   Diventavano Ragazzi Sperduti. Peter li portava sull’Isola che non c’è.   Distesi le gambe, agitandole nell’aria fredda della notte, continuando a volare, e contemplai la danza delle fate sotto di noi, dopo aver incontrato lo sguardo compiaciuto di Peter. A lui piaceva fare colpo sulle bambine e sulle ragazze. La danza delle fate era un vortice variopinto, con tutti i colori dell’arcobaleno. Non avevo mai visto nulla del genere. La musica si udiva appena, per non svegliare gli uccelli, ed era suonata da piccoli zufoli creati con i gambi delle rose. Osservai le fate che danzavano in coppie, vorticando in una spirale ipnotica che riluceva nel buio, come una galassia di stelle colorate.                           «È meraviglioso» commentai, stringendo ancora più forte la sua mano.                               Quando fu l’ora di andare, Peter mi si rivolse scrutandomi con i suoi occhi verdi, colmi di speranza. «Tornerò e ti porterò via con me. Aspettami sempre.»                                              Ci sollevammo nell’aria della notte, fino a raggiungere la luna piena, mentre sotto di noi le fate continuavano la loro danza, finché quei puntini luminosi non divennero stelle che mi circondavano in ogni parte.                                                                                                          A quel punto, mi addormentai, accoccolandomi fra le braccia di Peter.                                   La mattina dopo, mi svegliai in un letto d’ospedale, a Great Ormond Street Hospital, l’ospedale pediatrico.  Uno dei guardiani dei Giardini di Kensington mi aveva trovata all’alba, addormentata davanti alla statua di quel bambino con lo zufolo.

***

La sera successiva, quando mi dimisero dall’ospedale e tornai nella mia camera, notai qualcosa che mi lasciò sgomenta. La finestra aveva le inferriate. Ed era chiusa.              «Tesoro, lascerò la luce accesa» mi disse mia madre, preoccupata. Si stava tormentando le dita, sopra il suo bell’abito elegante. «Se hai bisogno di qualcosa, chiamami.»              «Mary, calmati» vidi entrare mio padre dalla porta. Indossava sempre giacca e cravatta, visto che lavorava in banca. Si era sempre vantato di conoscere molto bene la borsa valori e non smetteva mai di ripetercelo.                                                                                   «Ancora non capisco come sia potuto succedere, George» proseguì lei. «Come ha fatto la bambina a uscire dalla finestra e ad arrivare fino a Kensington?!…»                                 Nessuno lo aveva detto a voce alta, ma tutti pensavano che qualcuno mi avesse rapita, dal letto della mia camera, e che per qualche opera di misericordia mi avesse abbandonata nei Giardini.                                                                                                             Ecco spiegate le inferriate che avevano messo alla finestra.                                                        Per fortuna, in quel momento entrò la persona a cui ero più legata, a salvarmi. «Nonna!» balzai sul letto, piena di energia e mi beccai un altro rimprovero da mia madre. Nonna Moira, china sul suo bastone, vestita di nero e con i capelli bianchi legati in uno chignon, sorrise allegra. «Mary, George… andate a letto. Resto io con la piccola.»                                 «No» si oppose lei. «Basta raccontare storie strampalate. Fate, sirene, pirati, pellerossa… Non sono adatte a una bambina di sei anni.»                                                                         «Levatevi dai piedi, vecchi stoccafissi» la nonna alzò il suo bastone da passeggio, impugnandolo come se fosse una spada, nel modo in cui mi faceva sempre ridere.            Porsi il viso a mia madre e ricevetti il bacio della buonanotte, assieme a una carezza di mio padre. Non appena i miei genitori chiusero la porta, e la nonna si fu accomodata sulla sedia accanto al letto, esplosi visto che mi ero trattenuta a stento:   «Sono stata con Peter! È venuto da me!»                                                                                                                        «Lo avevo immaginato» assentì nonna Moira. «Peter fa visita solo alle ragazzine che credono in lui. Venne anche da me, quando avevo tredici anni… Ma oramai non si ricorderà più dei giochi che facevamo assieme.»                                                                            «Sì, lui dimentica. L’Isola che non c’è fa dimenticare» sapevo come stavano le cose. Quindi, mi intristii, di colpo. «Peter dimenticherà anche me?»                                                   Il volto di nonna Moira, divenne pensieroso. Non voleva deludermi, ma non voleva neppure mentirmi. «È difficile, a dirsi. Ancora oggi, nessuno sa come mai lui non sia volato sulla chiesa quel giorno, quando la tua trisavola Wendy Moira Angela Darling si sposò in rosa e in bianco, per impedire quel matrimonio.»                                                   «Perché non lo ha fatto? Peter era innamorato della prima Wendy» considerai, attorcigliandomi una ciocca di capelli.    Il loro amore era una leggenda, nella nostra famiglia.                                                                                                                                          Soprattutto fra le donne. A volte, quando si parlava delle vecchie storie romantiche, nelle lunghe sere d’inverno accanto al camino, era scontato che prima o poi saltasse fuori il nome di Peter.  La nonna chinò lo sguardo. Sospirò, con rammarico. «Credo che nessuna ragazza sia mai stata in grado di convincere Peter a crescere, è questo il reale motivo.» Sbuffando, mi rimisi sotto le coperte. Lanciai uno sguardo verso la finestra. Già odiavo quelle inferriate. «Nonna, ma se la finestra rimarrà chiusa, come riuscirà a entrare?» «Wendy, se sei davvero importante per Peter» fu la risposta, «lui tornerà da te.» Si chinò, dandomi un bacio in fronte.   Socchiusi le palpebre e mi addormentai, sperando di sognare ancora il ragazzo che non voleva crescere.  È strano, come anche il tempo riesca a volare. Peter non tornò più da me, visto che la finestra era stata sprangata con le inferriate dai signori Darling. Lo aspettai ogni notte, per mesi, ma non udii più il suono del flauto di canne. Sapevo cosa pensasse Peter, riguardo alle finestre chiuse. Anche se non lo volevo, cominciai a dimenticare la notte in cui avevamo volato sopra Londra, fino ai Giardini di Kensington, tenendoci per mano. Dopo un anno, quando oramai avevo imparato a scrivere e a leggere, e sentivo i miei genitori pianificare il mio radioso futuro con una laurea in giurisprudenza, un lavoro ben pagato in uno studio legale, un matrimonio di lusso e dei figli, feci la mia scelta. Decisi di crescere. Il mio incontro con Peter rimase solo il ricordo di un sogno e dopo qualche tempo, dubitai perfino di me stessa. Di aver volato. Accadde così, purtroppo. Nel momento esatto in cui dubitai di poter volare, persi la facoltà di farlo.


Conoscete già questa autrice? Mi intriga davvero tanto questa sua rivisitazione della storia di Peter Pan…

Alla prossima anteprima !!
L.

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